Il Quarto Giorno
Il quarto giorno
inizio' presto, molto presto, come quelli che lo avevano
preceduto.
L'orologio segnava le tre e mezzo. Il solito jet lag pensai, sostenuto da
quella sottile eccitazione che mi pervadeva al pensiero di ogni nuova giornata
dedicata alla pesca. Oppure il cadenzato, fragoroso, inesorabile russare del
mio compagno di viaggio Alberto. No, c'era qualcos'altro che aveva risvegliato
uno dei miei sensi, l'olfatto. Un odore penetrante, dolciastro, che la notte
precedente avevo percepito arrivando e che adesso filtrava all'interno del
camper. Immaginai la provenienza, ed alle prime luci dell'alba ne avrei
infatti avuto la conferma. Il pensiero corse ai giorni precedenti, per
riviverli ancora una volta e fissarli definitivamente nella memoria. Il nostro
viaggio voleva idealmente ripercorrere il cammino del salmone dal mare, dove
passa gran parte della sua vita e si accresce, al piccolo torrente di montagna
dove si riproduce e termina il suo ciclo vitale. La prima tappa era cosi' stata
fissata in Campbell River, sull'isola di Vancouver, rinomata localita' sul mare
e foce del famoso fiume che porta lo stesso nome. I due giorni di viaggio
terminati con la traversata sul ferry a bordo del camper erano finalmente
giunti al termine e mancavano ancora pochi frenetici preparativi. Durante la
mattinata visitammo diversi negozi di pesca per acquistare le licenze, gli
stivaloni ascellari in neoprene 4 mm per affrontare le acque gelide, le mosche
adatte, ed approfittammo della gentilezza e preparazione dei negozianti per
chiedere informazioni sui luoghi migliori di pesca. Finalmente nel pomeriggio
raggiungemmo il grande fiume, con l' emozione che dava il formicolio alle
gambe ed i cinque sensi amplificati al massimo per cogliere nel pieno la
natura che ci circondava. In un misto di calma ragionata
e di frenesia incontrollata procedemmo alla vestizione: calzamaglia, corpetto
e calzettoni termici hi-tech, camicia di flanella, pile leggero, stivaloni
ascellari in neoprene, scarponcini con suola in feltro e chiodi antiscivolo,
jacket in goretex con cappuccio, cappello a tesa larga da cow-boy. Montammo le
canne da mosca nove piedi quattro pezzi, mulinello antireverse caricato con
coda nove ad affondamento veloce, mosca viola su amo del sei senza ardiglione,
con sapienti e misurati movimenti ed assaporando il momento di entrare in
azione. Giunti sul greto del fiume mi fermai a valutare la situazione: il
cielo plumbeo e compatto rilasciava una sottile ma fitta pioggerellina. Una
leggera nebbia si adagiava scivolando sull'acqua ma lasciando intravedere la
vegetazione lussureggiante sull'altra riva, con le sue infinite gradazioni di
colore dal rosso all'ocra degli aceri sparsi in una fitta foresta di abeti
secolari alti fino a cinquanta metri ed oltre. La riva scivolosa, ripida e
coperta da un tappeto multicolore di foglie umide conduceva al greto dove il
fiume scorreva potente e fragoroso per la grande quantita' di acqua caduta nei
giorni precedenti. La corrente molto forte al centro si affievoliva sul nostro
lato fino a fermarsi in prossimita' di una piccola spiaggetta, e li' ci
dirigemmo. Uno sguardo intorno per valutare gli spazi a nostra disposizione e
la nostra avventura ebbe finalmente davvero inizio. Un respiro profondo e via,
la coda inizio' a volteggiare nell'aria disegnando traiettorie sempre piu'
lunghe e producendo un sibilo familiare che si fondeva armonicamente allo
stormire delle fronde mosse dalla leggera brezza, e lasciando sospese
nell'aria microscopiche gocce scintillanti terminava la sua corsa nell'acqua
vorticosa a monte rispetto allo scorrere del fiume. Uno sguardo verso l'alto
mi svelo' il volo di un'aquila dalla testa bianca, simbolo del Canada, che
volteggiava sulle cime delle gigantesche conifere e mi dava il suo stridulo
benvenuto nella sua terra. L'emozione ebbe il sopravvento ed il mio cuore si
rivelo' con una transitoria tachicardia.....
E mi ricordo' che come da sempre nei
miei sogni, sara' in un momento come questo che vorrei salutare per sempre
questo mondo.
La coda
termino' il suo tragitto sommerso fino a rimanere ferma e la rilanciai. Una,
due, tre, dieci volte....fino a quando si arresto' a meta' corsa, si tese, la
canna si incurvo' e.....accadde tutto cio' che avevamo tanto agognato nei due
anni di attesa di quel momento. Un salmone chinook di circa 8-10 kili esplose
fuori dall'acqua due, tre volte producendo fragorosi schizzi e contorcendosi
in aria per liberarsi dall'amo agganciato sul labbro inferiore. Scomparve
nelle acque rese torbide dalle piogge e si diresse velocemente ed
inesorabilmente verso la corrente principale in mezzo al fiume. Il tempo di
realizzare cio' che stava succedendo ed ecco che il filo terminale di nylon
cedeva ed il mio avversario riacquistava la liberta' festeggiandola con un
definitivo salto liberatorio.
Mi sedetti sulla riva,
rendendo gli onori a tale potente avversario, per riprendermi dallo stupore e
razionalizzare l'accaduto. "Qui il gioco si fa duro, molto piu' di quanto
avevamo previsto. Sul Campbell River, data la vicinanza del mare, i salmoni
sono pieni di vigore in quanto all'inizio del lungo viaggio di ritorno alle
origini. E sono grossi, molto grossi, non li prenderemo mai " pensai. Non mi
diedi per vinto, e proseguii la pesca ritrovandomi ogni volta con il filo
spezzato. Ammisi la sconfitta, per il momento, e nelle ultime luci del giorno,
esausto ma carico di emozioni raggiunsi Alberto che aveva vissuto esattamente
le stesse sensazioni. La nebbia nel frattempo si infittiva, e attraversando il
bosco ovattato tornammo al camper. Nel raggiungere la piazzola di sosta per la
notte lungo il fiume, dietro una curva ci trovammo la strada sbarrata da una
famiglia di tre cervi, di cui uno in tenera eta'. Ci guardarono arrivare, e con
estrema naturalezza lentamente raggiunsero il folto del sottobosco, dopo un
ultimo intenso sguardo incuriosito. In silenzio, io ed Alberto ringraziavamo
la natura per la sua bellezza. Piu' tardi, decidevamo di riprendere l'indomani
il viaggio verso i monti, lungo la "via dei salmoni".
Guardai ancora l'orologio. Le 5.00.
Ancora due ore e sarebbero cominciate le luci dell'alba. Alberto si giro' nel
letto e per un attimo smise di russare. Finalmente, forse posso riprendere un
po' di sonno....... Mi risvegliai dopo mezz'ora, i tremendi suoni che
provenivano dal letto in fondo al camper riuscirono a perforare ancora una
volta i tappi in silicone che indossavo ogni notte. Avevo trovato un sistema
per riuscire a prendere sonno in fretta, prima che si addormentasse lui. Dopo
aver consumato la cena preparata da me ed averla accompagnata con una lattina
di birra, ne bevevo un'altra per raggiungere un tasso alcolico tale da indurre
il sonno. E dopo aver barcollato fuori dal camper per l'ultima minzione della
giornata sotto le stelle, riuscivo a malapena a raggiungere il letto
mansardato prima di perdere definitivamente conoscenza. Ma una volta sveglio,
era impossibile riprendere a dormire.
Cosi', anche quella mattina, il
pensiero riprese a percorrere il filo interrotto....
Il secondo giorno ci vide in strada
di buon'ora, intorno alle 5 e mezzo. Dopo una veloce colazione a base di
muffin alla carota, nel buio della notte ancora fonda partimmo alla
volta di Courtenay, seconda tappa programmata. Il paesino adagiato su di una
piccola altura
sonnecchiava ancora alle 8 del mattino. Le case del centro storico, tutte
rigorosamente di legno
e dai colori pastello erano ordinatamente disposte lungo salite e discese
impegnative per un camper di quelle dimensioni e peso. Il negozio di pesca, tappa obbligata di tutti i nostri pellegrinaggi avrebbe aperto alle 9.
Passeggiando nell'aria frizzante del mattino attraversammo un ponte in ferro
che sovrastava una rientranza del mare costeggiata da un parco con un
invitante prato verde ben curato. Attraversato l'ingresso al parco costituito
da due enormi totem indiani qualcosa nell'acqua attiro' la mia attenzione. Silenziose, due foche
ci tenevano d'occhio al centro del fiordo, e si immergevano di tanto in tanto
alla ricerca di pesci delle giuste dimensioni. La tecnica di pesca consisteva
in poderosi balzi fuori dall'acqua
per poi ricadere sui malcapitati salmoni,
che venivano storditi ulteriormente con ripetuti colpi di coda, a volte
addirittura proiettati fuori dal loro elemento. Poi le foche scomparivano nel
profondo allontanandosi per consumare il pasto. Dopo numerosi avvistamenti di gruppi di foche tornammo sui nostri passi, ed Alberto mi fece notare una
lontra che correva lesta lungo la riva verso un nascondiglio con un piccolo
pesce in bocca. Tutto questo accadeva nel bel mezzo del paese, ed i primi
passanti non sembravano per niente interessati a quello spettacolo per noi
cosi' eccezionale. Finalmente il negozio di pesca apri' e raccolte le
informazioni necessarie raggiungemmo il Puntledge.




Il Puntledge River circondava con ampie volute le spalle del paese di
Courtenay. Parcheggiato il campervan attraversammo il ponte per avere una
visione d'insieme, e valutare il da farsi. La giornata si annunciava
difficile. Un vento freddo e pungente scendeva dalle montagne e si insinuava
lungo la vallata del fiume, avvolgente e penetrante fino alle ossa. L'aria era
come sempre carica di umidita' ed il cielo si preparava a scatenare le sue ire
tuonanti. Moltitudini di foglie variopinte volteggiavano nell'aria e
sceglievano dove andare a posarsi, alcune sulle rive fangose a formare un
soffice tappeto, altre sulla superficie dell'acqua che le avrebbe portate
forse fino al mare poco lontano. La parte di fiume a valle del ponte era
frequentata da un gran numero di pescatori, per lo piu' immersi nell'acqua fino
alle ginocchia vicino ad entrambe le rive. La parte a monte invece, con il
livello delle acque molto piu' alto ed impegnativo, era per gran parte deserta.
Non ebbi dubbi sulla scelta del "nostro" posto.
Sono sempre stato un indipendente, mi piace la compagnia ma solo quando sono
in grado di scegliere con chi dividere il mio tempo, devo sentirmi in
sintonia. E sono per lo piu' un solitario, sto bene con me stesso e non ho
bisogno di condividere gioie o timori. Per questo motivo non frequento gruppi
od associazioni di sorta, la appartenenza ad un "branco" non fa parte della
mia natura, la liberta' di decisione e' cio' che piu' mi appaga. Il mio compagno
di viaggio Alberto e' invece molto piu' accondiscendente e malleabile, cosa che
gli permette di tollerare alcune mie intransigenti prese di posizione.
Cosi' anche quella mattina lo obbligai a scegliere la via piu' difficile ma
solitaria ed avventurosa, e salimmo a monte. Le nubi sprigionarono il loro
carico greve proprio mentre raggiungevamo il posto di pesca, e l'acqua che
colava dal viso nel collo mi fece rabbrividire. Non c'e'
poesia oggi, pensai
tra me e me. Mentre Alberto iniziava a svolgere la coda avanzando nell'acqua
fin oltre le ginocchia, partii alla perlustrazione del fiume oltre una curva
che lo celava al nostro sguardo. Camminando nella fitta vegetazione grondante
di pioggia notai le orme di ungulati nel fango, e sperai di scorgerne
qualcuno. Provai a pescare in un tratto di fiume dove la forte corrente faceva
rotolare i sassi del fondo, rischiando piu' volte di cadere ed essere
trascinato nelle acque gelide e pericolose. Niente, anche per i salmoni quel
tratto doveva essere troppo faticoso per la risalita. Tornando sui miei passi
sentii Alberto che mi chiamava a squarciagola. Mi precipitai correndo nella sua
direzione, con gli arbusti che mi sferzavano il viso e graffiavano il tessuto
del giubbotto, temendo per la sua incolumita'. Lo trovai invece nel posto dove
lo avevo lasciato, con la canna paurosamente piegata che combatteva con un
pesce presumibilmente di dimensioni enormi. Il salmone aveva gia' raggiunto il
mezzo del fiume, dove la corrente era piu' impetuosa. Non ce la fara' mai, fu il
primo pensiero. La coda fendeva le acque con una tale tensione da produrre un
sibilo perfettamente udibile. Una lunga fuga del pesce fece srotolare dal
mulinello la coda con una velocita' incontrollabile, ed il cicalino dello
stesso si trasformo' da gracchiante in ininterrotto. Un enorme salmone argenteo e
bruno ruppe la superficie dell'acqua e si esibi' in un salto spettacolare,
sollevando spruzzi che si confondevano con la pioggia scrosciante ed arcuando
il corpo e la testa nel tentativo di liberarsi dalla mosca rossa ben visibile
sul lato della mascella superiore. Nel ricadere in acqua accelero' ancor piu' la
sua fuga ed Alberto si oppose a questa frenando l'uscita del filo ed
aumentando la trazione sulla canna. Fu in quel momento che con uno schianto
fragoroso la canna gli esplose letteralmente nelle mani, frammentandosi in
mille pezzi all'altezza del manico e lasciandolo con un moncone frastagliato
come uno scopino da spazzacamino. Lo guardai con il capo chino e lo sguardo di
tre quarti, mentre stava li' in mezzo al fiume con la bocca aperta e lo sguardo
lontano alla ricerca dei resti della sua canna e del salmone che aveva nel
frattempo riguadagnato la liberta'
E non profferii alcuna parola.
Tornammo cosi' mestamente al camper per rifocillarci e prendere la canna di
riserva di Alberto. Rinfrancati dal pranzo e dal breve riposo
riprendemmo la
pesca, questa volta nel tratto sotto il ponte. In questo tratto di fiume il
livello delle acque piu' basso permetteva di addentrarci quasi fin al centro
dell'alveo, cosi' da rendere possibili i lanci verso entrambe le sponde, dove
stazionavano i salmoni. Nell'acqua alta mezzo metro si vedevano chiaramente
gli enormi pesci, la cui dimensione
andava dai sessanta ai cento e piu'
centimetri. Erano perlopiu' di razza Chum, pesci dallo scarso valore alimentare
e commerciale in Canada, e per questo spesso snobbati dai pescatori del luogo.
Il fiume era letteralmente tappezzato di forme scure e sfuggenti, addirittura alcuni nelle fughe improvvise ci passavano in mezzo ai piedi o sbattevano
contro le nostre gambe. Pescando in mezzo a questa moltitudine di pesci era
facile che l'amo si agganciasse sul corpo, sulla
coda o sulle pinne dorsali, e
la pesca perdeva tutta la sua sportivita' Pertanto ci concentrammo sulla parte
centrale del fiume, con correnti piu' impetuose e ricche di salmoni vigorosi
perche' freschi di risalita o di passaggio per raggiungere il loro luogo natio
piu' a monte. Agganciammo molti pesci, prevalentemente sulle labbra
cartilaginee e quindi senza rischio di ledere parti vitali. Alcuni, pochi per
la verita', riuscivamo a tirarli a riva, liberarli dalla mosca e rilasciarli.
La maggior parte
riguadagnavano la liberta' grazie alla loro forza e astuzia,
grattando il filo di nylon sui sassi del fondo o producendosi in salti e fughe
che mettevano a dura prova le nostre attrezzature, volutamente leggere per
lasciare qualche chance ai nostri avversari.
In una di queste fughe il salmone spezzo' la seconda canna di Alberto.

Si girarono tutti verso di lui, impietrito ed incredulo, alcuni con un
sorrisetto a stento trattenuto, altri con uno sguardo di compartecipazione.
Non mi trattenni piu' e scoppiai in una fragorosa risata, aveva stabilito un
record difficilmente superabile ! La pesca fini' cosi' quel giorno, e
nelle luci della sera, lentamente e nel silenzio, tornammo al camper per
correre a comprare una nuova canna.
Uno stridore attrasse il nostro sguardo verso l'alto, e avvistammo uno stormo
di gabbiani che scacciavano un'aquila dalla testa bianca dal "loro"
territorio.
Non c'e' poesia in questa giornata, pensai ancora una volta.
Ma improvvisamente l'aquila ricordandosi di essere aquila e vera padrona del
territorio arresto' la sua fuga, ed aperte improvvisamente le ali e la coda si arresto'
nell'aria, fece un repentino dietrofront e si lancio' all'inseguimento dei
malcapitati gabbiani, scomparendo dietro le cime degli abeti.
In un ultimo sguardo sul fiume notai che un gruppo di ragazzi canadesi, dopo
essere stati tutto il pomeriggio a pescare sotto la pioggia scrosciante
vestiti di semplici magliette e pantaloni corti, grondanti d'acqua erano alla
fine entrati nel mezzo del fiume calzando semplici scarpe o addirittura
sandali, e schiamazzando si divertivano come pazzi.
Allora forse mi sbagliavo, pensai, anche oggi c'e' poesia nell'aria....
E con rinnovato vigore e determinazione quella sera decidemmo di proseguire
lungo la "Via dei Salmoni".
Un rumore fuori dal camper, come di un fruscio nei cespugli lontani mi riporto'
al presente. Tesi le orecchie, pronto a carpire nuovi rumori, ma non udii
altro. L'odore dolciastro penetrava sempre piu' forte dalle fessure delle
finestre. Con la mano spostai la miriade di goccioline che inumidivano la
finestra sopra il mio letto per scorgere le prime luci dell'alba. La notte
regnava ancora incontrastata sul Quarto Giorno. Erano le sei e mezzo ed il
freddo che si insinuava sotto le coperte mi fece rabbrividire. Mi alzai cosi' per
accendere il riscaldamento e provocare qualche rumore per preparare Alberto
alla sveglia imminente. Lui si giro' nel letto, aggiunse un'altra coperta e riprese
il suo migliore concerto a piu' strumenti..... Il tepore mi riavvolse lentamente sotto le
coltri, e con la mente tornai a ripercorrere il viaggio del giorno precedente.
La tappa successiva fu lo Stamp River. La strada che porta a Port Alberni,
nelle cui vicinanze scorre il fiume, attraversa il Pacific Rim
Regional
Park, una meravigliosa foresta di abeti secolari solcata da torrenti e
costeggiata da laghi alpini di una bellezza tale da togliere il fiato. Dopo
una rapida visita al negozio di pesca per acquistare la nuova canna di Alberto
ci dirigemmo eccitati alle cascate dello Stamp. Ma ci attendeva una brutta
sorpresa : le acque erano troppo alte per permetterci di pescare. Era la terza
volta che mi trovavo sullo Stamp River. E proprio qui, sulle sue rive, erano nate
le basi di questo ultimo viaggio. Vi eravamo stati tre anni prima , in compagnia
delle nostre mogli e della figlia di Alberto, in un itinerario che prevedeva
dodici giorni di pesca e turismo in Canada ed altri dodici sulle calde ed
assolate spiagge del Messico. Allora era Agosto, ed il livello delle acque era
invece molto basso, tale da non permettere la risalita dei salmoni lungo le
cascate dello Stamp. Ero gia' stato in quel fiume dieci anni prima, e dopo
l'emozione di un tuffo in mezzo ai salmoni che si raccoglievano in una pozza
ai piedi della cascata avevo giurato di tornarci con la donna della mia vita.
E cosi' vi ero tornato con Monica. Rendendosi conto che il mio sogno di pescare
in quelle splendide acque ed in quel meraviglioso paesaggio non si era ancora
realizzato, mi sprono' ad organizzare un viaggio dedicato solo alla pesca per
soddisfare fino in fondo la mia passione per quei posti. E cosi' fu.
Ma la
magia di quel posto sembrava davvero dominata da un sortilegio : anche
questa volta mi costringeva a rimandare ad un prossimo viaggio......
Ci dedicammo cosi' alla fotografia, cercando di immortalare le sensazioni e le
immagini pi? belle. Dopo numerosi tentativi riuscimmo a fotografare un salmone
in risalita mentre saltava per superare la cascata piu' alta. Su un lato di
questa cascata c'era una scala di rimonta per agevolare il superamento delle
rapide, e nella prima pozza si erano radunati numerosi salmoni per riposare
prima di passare alla pozza successiva poco piu' in alto. Nel primo pomeriggio, alla ricerca di un posto per pescare piu' a
monte, su di un sentiero ci imbattemmo in un uccello sconosciuto, che
immaginai si trattasse di un gallo cedrone. Indispettito, ci affrontava per
poi allontanarsi di alcuni passi e girarsi nuovamente a fronteggiarci.
Girovagando nel paese, in un'area di servizio trovammo un
gruppo di indiani che scolpiva un Totem, probabilmente per adornare l'ingresso
della loro abitazione come molti facevano. Ai margini di uno splendido prato,
sotto un enorme acero, riposava per sempre un vecchio modello di VW
Transporter, al riparo dal sole. Grande paese, il Canada.






La frenesia di pescare ci attanagliava sempre piu' ed all'approssimarsi del
Quarto Giorno ci rimettemmo in strada per raggiungere il Nitimat River.

Il
Nitimat River scorre nelle montagne piu' alte dell'isola di Vancouver. La
strada attraversa immense foreste dove i taglialegna abbattono a rotazione
intere colline, permettendo il rimboschimento successivo. Lunghe carovane di
enormi camion carichi di tronchi d'albero la solcano in continuazione,
rendendo impossibile il mantenimento dell'asfalto. Per questo motivo la strada
e' sterrata ed a tratti impervia. Ma proprio per questo e 'entusiasmante
percorrerla, soprattutto a bordo di un camper pieno di stoviglie e di oggetti
instabili ! Era impossibile non fermarsi ad ammirare i paesaggi e
fotografarli, cosi' il viaggio si allungo' fino al comparire della sera. Dietro
una curva, improvvisamente, ci trovammo di fronte una famiglia di Alci,
impressionanti per la loro mole e tuttavia timorosi. Due ore di scossoni,
meraviglie, terrore per l'incolumita' del mezzo. Il buon navigatore, un palmare
con Tom Tom Navigator caricato con le mappe del Canada ed antenna bluetooth ci
disse finalmente, nell'oscurita' della notte, che eravamo arrivati a
destinazione. Mi misi, come ogni sera, a preparare la cena. Una carbonara
preparata ad arte, con gli ingredienti comprati il giorno prima, non
esattamente con i sapori nostrani, ma comunque soddisfacente ed annaffiata con
due belle lattine maxi di birra forte, che contribuivano al piacere del
momento ed esaltavano i sentimenti.
Soddisfatto nel profondo mi infilai nel
letto e senza dire una parola caddi nel sonno dei giusti. Un attimo prima
di perdere definitivamente conoscenza feci il conto dei giorni passati : al
nostro risveglio sarebbe stato il Quarto Giorno.
Un rumore in lontananza, come di ferraglia che sbatte e cade, mi riporto'
di colpo allo stato di coscienza. Anche Alberto si sveglio' ed in preda
all'apprensione mi chiese
cosa fosse stato. Tendemmo le orecchie per percepire altri suoni, ma tutto era
tornato nel silenzio. Guardando fuori mi accorsi che comparivano le prime luci
del mattino attraverso una lattiginosa coltre di nebbia, che
impediva la vista lontano dal camper. L'orologio segnava le sette del
Quarto Giorno.
Era
finalmente ora di alzarsi, e con frenesia iniziammo la giornata tanto
attesa. Un lavaggio veloce di faccia, una grossa caraffa di te' una
caffettiera da tre, sei o sette mini brioches scaldate nel micro-onde e via
con la vestizione a strati.. Uscii dal camper per calzare gli scarponcini
e..... quell' odore dolciastro, pesante e nauseabondo mi prese subito alla
gola mozzandomi il fiato. Attesi Alberto e per prima cosa cercammo di
stabilire da dove provenisse lo sgradevole odore. Raggiungemmo un ponte sul
fiume poco lontano da noi ed alla prima occhiata verso l'acqua giunse la
conferma di quanto avevamo intuito: le sponde del fiume, i tratti con pochi
centimetri di acqua e le buche
profonde erano cosparse di cadaveri di
salmoni in decomposizione. Uno spettacolo penoso ma allo stesso tempo
straordinario, che scateno' in noi reazioni contrastanti.. L'eccitazione per
essere li' ad assistere ad un evento che pochi hanno occasione di
vedere, ed il dispiacere di trovare una cosi' vasta e devastante dimostrazione della fine
del ciclo vitale del salmone. Con un nodo alla gola e quasi senza parole
ci fermammo ad osservare cio' che succedeva. La vallata era solcata
ininterrottamente da stormi di gabbiani in frenesia alimentare ed il loro
stridore assordante rendeva ancora piu' spiacevole lo scenario. In un primo
momento pensammo che si cibassero dei salmoni morti sulla riva, ma guardando
piu' attentamente ci rendemmo conto che il macabro banchetto avveniva sui
pesci ancora vivi che nuotavano nell'acqua bassa, a portata dei becchi .
Sotto questo incessante attacco, a pochi centimetri dal luogo dove trovavano
la morte, avveniva anche la
perpetuazione della specie. La femmina si gira
su un fianco e sbatte la coda energicamente fino a formare una piccola buca
priva di grossi sassi e pavimentata da sabbia granulosa, favorendo la
formazione di una zona riparata dalla corrente, pulita ed alimentata
regolarmente da acqua ben ossigenata. Tre o quattro maschi la circondano e
non appena questa depone le uova traslucide passano sul luogo di deposizione
emettendo il loro sperma lattescente. Questa attivita' si protrae per ore ed
alla fine sia i maschi che le femmine, prostrati e privi di energie si
lasciano trasportare dalla corrente e nell'agonia prestano il fianco ai
gabbiani famelici o si arenano nell'acqua bassa attendendo la morte che
avverra' in qualche ora.
Scattammo alcune foto e girai qualche ripresa, poi
decidemmo di spostarci da quel massacro triste, rumoroso e maleodorante. Con
il camper costeggiammo il fiume a risalire e finalmente trovammo un posto
tranquillo con acqua della giusta profondita' e quasi sgombro di carcasse di
salmone. Un sentiero portava dalla strada principale alla riva del fiume
attraverso la boscaglia, e baldanzosi ci dirigemmo verso
una tettoia posta
all'imbocco dello stesso. Un cartello giallo ammoniva : Attenzione agli Orsi
! Ci guardammo intorno e vidi l'origine dei rumori di ferraglia sentiti
durante la notte : un grosso bidone dei rifiuti di latta trattenuto da
catene ad un palo ed al suo coperchio era stato
aperto e rovesciato, una catena spezzata, i rifiuti sparsi intorno e ridotti a brandelli. L'orso era
passato qui da poco. L'avventuroso Alberto non esito' un attimo, fece
dietrofront e corse verso il camper, urlando che non
sarebbe piu' uscito dal
mezzo. Confesso che rimasi anche io un po' perplesso sul da farsi, ma la
voglia di pescare era troppo forte e mi inoltrai nel bosco, e poi non volevo
dargliela vinta cosi' presto, senza un tentativo di conciliazione. Raggiunsi
la sponda del fiume e restai estasiato dalla bellezza del posto, nell'acqua
cristallina nuotavano tranquilli centinaia di salmoni in buone condizioni,
non ancora lacerati dai gabbiani e pieni di vigore tanto da permettere
ripetuti salti fuori dall'acqua e
improvvise scorribande da un lato
all'altro del fiume. Qualcosa su di un grosso sasso attiro' la mia
attenzione. Mi avvicinai e vidi la carcassa sbranata di un salmone, e
mi si raggelo' il cuore. Immobile, cominciai a guardarmi intorno, con le
orecchie tese allo spasimo, pronto a captare qualunque rumore e fuggire
all'istante. Sentii dei rumori di rami scossi provenienti dal sentiero.....
agghiacciato mi ricordai le regole da seguire ed iniziai prima a fischiare e
poi a cantare a squarciagola per segnalare la mia presenza ed un eventuale
orso nelle vicinanze e...... nell'aria echeggio' il canto stonato di un
pescatore canadese che si avvicinava al fiume e mi aveva sentito muovere. Ci
guardammo e scoppiammo a ridere, sollevati dalla tensione e felici di
affrontare in compagnia i rischi della pesca in un posto cosi' selvaggio.
Giunto sul greto, come sempre prima di iniziare a pescare, mi guardai intorno
per assaporare il momento ed imprimere nella mente per sempre le sensazioni
che il paesaggio sapeva dare. La nebbia scivolava sull'acqua sospinta da una
leggera brezza facendosi attraversare da timidi raggi di sole, il primo da
quando era iniziata la nostra avventura in Canada. Il silenzio era rotto dai
fragorosi salti nel mezzo del fiume e dalle repentine fughe dei salmoni
nell'acqua bassa, dove avveniva la deposizione. Lunghe ombre scure si
intravedevano saettanti sotto la superficie dell'acqua cristallina. Il dolce
fruscio delle acque si fondeva armonicamente al lieve stormire delle fronde
degli aceri che spargevano intorno il loro caduco abito dai colori del fuoco.
Avanguardie di gabbiani solcavano il cielo azzurro in cerca di prede, scaldati
dal tepore del primo sole. Ed io ero li' c'ero, facevo parte di questo mondo.
Con la mente come ovattata dall'intensita' delle emozioni mi allontanai dal
pescatore canadese ed iniziai a pescare solitario. Non senza emettere
frequentemente suoni, fischi e rumori di acqua mossa. Procedendo nel sottoriva
alto trenta centimetri involontariamente spaventavo i salmoni in frega e
questi fuggivano producendo scatti che rompevano in una scia la superficie
dell'acqua, allora mi spostai dove era piu' profonda e meno frequentata dai
pesci. Un lancio e via......... il primo pesce tese la coda per sfuggire alla
presa. La lotta fu come sempre dura, anzi piu' dura del solito perche' il
salmone era stato agganciato dall'amo su di una pinna e quindi poteva
opporre maggior resistenza e superficie del corpo alla corrente d'acqua che
lo aiutava nella fuga. Alla fine , stremati entrambi, si fece portare
nell'acqua bassa dove con cura lo liberai dell'amo e pote' riprendere il
centro del fiume. Ripensai ad Alberto chiuso nel camper e vinto un
momentaneo impulso a lasciarlo li' per tutta la giornata decisi di
convincerlo a seguirmi. Ci volle non poco, ma rassicurato dall'arrivo di
altri pescatori che raggiungevano il fiume in tranquillita' finalmente
mi segui' . Ebbe solo un secondo impulso a fuggire a gambe levate quando vide
i resti del salmone sbranato sul sasso, ma la bellezza del posto e la
ricchezza di pesci lo convinsero a vincere le paure. La giornata trascorse
serenamente, sotto un
tiepido
sole che faceva
capolino ogni tanto tra le sfuggenti nuvole. Catturammo una quantita' di
salmoni, di entrambi i sessi, esclusivamente di razza Chum, forti e
combattivi. La pesca era fin troppo facile, l'unica difficolta' era riuscire
ad evitare di agganciarli sul corpo quando l'amo passava nel gruppo. Pian
piano il posto di pesca si era andato riempiendo, e veniva a mancare una
delle mie prerogative : la tranquillita' Cosi' mi soffermai a osservare il
comportamento dei pescatori. Alcuni erano appassionati come noi che
pescavano per il puro piacere, combattevano e rilasciavano tutti i pesci con
cura per non arrecare danni ed evitare di esaurire le loro rimanenti energie
vitali destinate alla riproduzione. Si soffermavano a guardarsi intorno ed
interrompevano spesso la pesca quando si avvicinava qualcuno per fare due
chiacchiere. Altri invece arrivavano fin sul greto del fiume, con grossi
pick up o quad, velocemente montavano le canne ed entravano in acqua dove i
pesci erano piu' concentrati, catturavano in modo brutale i tre pesci
consentiti, li riducevano in filetti e li conservavano in capienti
frigoriferi portatili, poi velocemente ripartivano. Un comportamento
utilitaristico, per noi in Italia ormai impraticabile, ma in Canada consueto e
non esecrabile.
Ormai stanchi e soddisfatti, all'avvicinarsi della sera decidemmo di
riprendere la via del ritorno. Carichi di emozioni per essere arrivati a
toccare con mano la fine della " Via dei Salmoni ", soddisfatti per tutto
cio' che avevamo visto fino ad allora, e speranzosi per quello che avremmo
trovato nei giorni rimanenti. Ancora non
sapevamo
che avremmo trovato un altro fiume meraviglioso per i pesci enormi, di razza
Chinook, che lo popolavano, risalenti dal Campbell River, il Quinsam River. Avremmo catturato decine di salmoni di diverse razze, e li avremmo rilasciati tutti, nel rispetto della natura e dei loro istinti riproduttivi. Avremmo pescato con la serenita' e la consapevolezza che i nostri desideri erano stati tutti appagati, godendoci i paesaggi dell'autunno inoltrato del Canada
Quella sera, nel silenzio rotto solo dal gorgoglio delle
acque dello Stamp River, consumammo la nostra cena nel camper. Il mio pasto
era composto da 8-9 gambe di granchio gigante, lessate per 5 minuti in
acqua bollente e poi intrise in una scodella di burro fuso. Semplicemente meravigliose, un nettare che non ti
stancheresti mai di mangiare. Il godimento era ingigantito dalla solita
birra forte, che predisponeva al rilassamento ed al sonno ristoratore. Quasi
storditi dal senso di appagamento che la giornata ci aveva dato, ci
preparammo alla notte. Uscii come al solito fuori dal camper per un ultimo
sguardo alle stelle e ringraziai la natura per tutto cio' che ci
regalava. Tornato nel camper, e raggiunto il letto, venni sorpreso dal
sonno istantaneamente. Cosi', senza un ulteriore pensiero, il Quarto
giorno fini'.

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